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7 gennaio 2008

pillole di fine anno - 4 - alla frutta

La monnezza campana dimostra una volta di più che in Italia l'emergenza non può essere affrontata con strumenti ordinari, quali appunto sono, al di là del nome, i commissari straordinari. Dalla poltiglia civile di Giuseppe De Rita siamo in Campania alla poltiglia incivile, un melmoso brodo primordiale dove la delinquenza prospera nutrendosi di garanzie democratiche in cambio del consenso elettorale per chi legittima le sue porcherie.
Dove il potere dello Stato e quello della criminalità organizzata mirano al controllo dello stesso territorio la possibilità sono solo due: o si fanno la guerra o si accordano.
La seconda.

Questa è l'amara sintesi di certo nostro sud, diciamocelo.
Non si tratta di destra o di sinistra, a tutte e due per governare servono i voti, a tutte e due li possono garantire solo camorra, n'drangheta, mafia e sacra corona unita, il vero cancro di questo paese (e non mancano le metastasi).

La politica non funziona? Mandiamo il commissario. E con quali strumenti? Il solo potere di dare ordini ad un'amministrazione che rimane agli ordini della politica che non funziona, così fallisce e possiamo sostenere che la soluzione è tornare alla politica, e via da capo? Ridicolo.

Se la politica ha ormai inequivocabilmente optato per un accordo con la camorra in cambio dei voti (perché questo è il problema, tutto il resto è letteratura), sospendiamo la politica, tutti a casa.
Servono i militari? Allora codice e regole militari, questi gli strumenti per un commissario, non il dover chiedere sommessamente a Bassolino e Russo Jervolino e ai sindaci che si rivoltano (di qualunque parte politica siano) che, per favore, facciano finalmente quello che hanno da tempo deciso di non fare, che vedano finalmente quello che hanno da tempo deciso di non vedere. Finita la guerra si potrà tornare al diritto e alle garanzie di pace.
Reset.

29 novembre 2007

21 novembre: parte finale

"L’autonomia deve oggi potersi esprimere come democrazia compiuta, dove tutte le istanze si misurino con pari dignità. Un’autonomia che non rifiuti i valori dell’alternanza, anzi li riconosca come strumento di crescita di tutta la società valdostana.
Un’autonomia finalmente libera da stantie pregiudiziali, sia contro la sinistra che contro la destra, nella quale gli elettori possano realmente partecipare e decidere, sapendo che le loro scelte saranno poi rispettate.
Un’autonomia dell’eguaglianza, non dell’egualitarismo, del lavoro e non solo del posto di lavoro, dove ognuno sia valutato e progredisca secondo i meriti acquisiti sul campo, dove si rivendichino diritti essendo consapevoli dei propri doveri. Dove si abbandoni il diciotto politico come regola universale. Dove si trovi il giusto punto d’equilibrio tra interesse collettivo e libertà individuale.
Per queste ragioni, per contribuire al superamento dei pregiudizi che ancora bloccano la partecipazione di tutti con pari dignità al dialogo politico in Valle d’Aosta, ho deciso di aderire al gruppo della Casa delle Libertà, impegnandomi per la realizzazione di un sistema delle alternanze in grado di aggiungere nuovi valori alla nostra autonomia e alla nostra democrazia.
L’augurio è che in questo momento difficile, con tanti problemi all’orizzonte, nel rispetto dei ruoli di ognuno, lavoriamo tutti per portare la Valle d’Aosta fuori dalle secche di uno dei periodi più complessi degli ultimi decenni. Lo dobbiamo ai valdostani.
E’ il momento di dimostrare la nostra “specialità”.
Specialità che è anche responsabilità di essere migliori.
Stiamo meglio”, ma “siamo meglio”?
Questo dobbiamo chiederci, su questo impegnarci.
Ogni giorno difendere l’autonomia, ma ogni giorno meritarcela."
(5 - fine)

28 novembre 2007

21 novembre 2004: parte quarta

Quarto passaggio:

"L’autonomia è un fatto ormai compiuto, i suoi valori sono in quest'aula da tutti condivisi incondizionatamente. Su essa dobbiamo vigilare, certo, senza mai abbassare la guardia, affinarla, ma la gara a chi è più autonomista non ha più senso. In questo Consiglio tutti sono autonomisti, quale che sia la loro storia e provenienza. Lo hanno dimostrato in tutti questi anni in aula, in commissione, nei rapporti con i loro referenti a Roma e a Bruxelles.
L’autonomia è il fondamento della nostra Regione
, del quale oggi dobbiamo arricchire i valori storici con l’aiuto di tutti, con nuovi significati, al passo con la dinamica e l’evoluzione della Valle d’Aosta, dell’Italia e dell’Europa.
Sono profondamente convinto che, per il bene di tutti i valdostani, che vivono e lavorano in questa nostra terra, su queste nostre montagne, a tutte le componenti politiche presenti in quest’aula vada ormai riconosciuta pari dignità etica e morale, poiché tutte si riconoscono senza riserve nei valori fondanti della nostra autonomia.
Smettiamola di distribuire brevetti morali o di pretendere pedigree. Consegniamo il peccato originale alla storia, entriamo finalmente nel nuovo millennio.
Abbiamo bisogno di tutti."
(4 - segue, ancora una botta e ci siamo)

27 novembre 2007

21 novembre 2007: parte terza

Il terzo passaggio:

"Pesano antiche pregiudiziali, viviamo una democrazia incompiuta. Nel 1989, con la caduta del muro, si è chiuso il “secolo breve”, come l’ha definito Eric Hobsbawm. Sono cadute le ragioni geo-politiche che in Italia avevano imposto sino ad allora un sistema, parafrasando Thomas Gresham, di “bipolarismo zoppo”.
Solo dopo l’89 il nostro paese si è incamminato verso il bipolarismo dell’alternanza.
Il Paese, ma non la Valle d’Aosta.
Questo era il vero tema dei referendum. La consapevolezza dei cittadini che l’era del “per sempre al governo” ha perso senso. Prima o poi tocca un giro anche agli altri.
In tutti i partiti o movimenti, nessuno escluso, ciò farebbe crescere a turno la cultura del buon governo e della buona opposizione.
Nel resto del Paese il bipolarismo non è certo ancora compiuto, anzi, sta già sterzando proprio in questi giorni verso una bipolarizzazione proporzionale alla tedesca con sbarramento. L’alternanza resta però l’obiettivo finale, un tema su cui la gente sta più avanti della sua classe politica. Non si torna indietro.
Questa officina, questo laboratorio della politica, è stato sinora impossibile in un sistema come il nostro, nel quale tutti gli autonomisti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.
E alcuni, purtroppo, meno degli altri.
La guerra è finita da oltre cinquant’anni, ma qui l’orologio della storia in un certo senso si è fermato. Direbbe Charles Baudelaire che, sotto sotto, questa terra soffre ancora della “grande maladie, l’horreur de la non gauche”."
(3 - segue)

25 novembre 2007

21 novembre 2007: parte seconda

Il brano successivo della dichiarazione in Consiglio:

"Ciò ha progressivamente portato ad una minore flessibilità di bilancio. I vincoli di destinazione, compresi quelli politici, sono inoltre aggravati dalla rigidità ormai strutturale dei bilanci degli enti locali. Dopo la riforma della finanza locale, pur disponendo di risorse ingenti come mai in passato, ai comuni restano solo quote risibili per gli investimenti.
Ecco allora arrivare di nuovo in soccorso la Regione: un circuito vizioso di cui non si vede la fine.
Oggi però il futuro, le prospettive economiche preoccupano: petrolio alle stelle, euro che penalizza le esportazioni. Si affloscia la bolla dei mutui sub-prime che propaga la crisi fino alle nostre borse, la Cina e l'India galoppano e risucchiano materie prime, spingendo i loro prezzi alle stelle.
Stati Uniti in pre-recessione, Europa che arranca su ritmi di crescita a dir poco gracili.
Italia che in Europa è il fanalino di coda: crescita del pil rivista al ribasso (1,6%), parallelo aumento del 3,6% del fabbisogno del settore pubblico, pressione fiscale alle stelle.
Scoperto in questi giorni un secondo tesoretto. Non preoccupatevi: sprecheremo anche questo. Risarcimento sociale, la stampella di un governo che ha riscoperto l’odio di classe.
Ultima per crescita in Europa l’Italia, addirittura sotto la media nazionale la Valle d’Aosta (dati Bankitalia).
Le nostre contraddizioni sono sotto gli occhi di tutti. Sul lato del welfare si chiede “più regione e meno pigione”, ai politici “più contributi e meno attributi”. Gli industriali chiedono “meno spesa e più impresa”, ma anche “più infrastrutture mirate e meno spalmature concertate” e infine “più progettualità e più produttività”.
I cittadini chiedono minori costi e minore invadenza della politica.
In sintesi, perché l’economia riparta davvero, servirebbe “meno regione e più ragione”.
Urge sburocratizzare e semplificare, ma il sistema è incartato. Oltre alle contraddizioni interne, pesa l’effetto del difficile momento che il paese attraversa. Il vento dell’antipolitica soffia gelido fin da noi. Ma la politica valdostana - lo dimostra la vicenda dei referendum - è bloccata, stenta a rinnovarsi, ad innescare quel processo di ricambio che risponda alle richieste della gente."
(2 - segue)

23 novembre 2007

21 novembre 2007: parte prima

In tutti i commenti, che si parli di traffico, di sport, di gastronomia o di sondaggi, finite per scornarvi sul tormentone UV-si/UV-no. Provo a postare a pezzi la mia dichiarazione in Consiglio di mercoledì 21, sperando che i commenti di volta in volta si riferiscano al tema del post. Se funzionerà continueremo pezzo per pezzo, in caso contrario possiamo anche smettere dopo il primo tentativo. Fatemi sapere. Ecco l'inizio della mia dichiarazione:

"Ingenti risorse, in gran parte derivanti dal riparto fiscale, hanno assicurato nell’ultimo quarto di secolo alla nostra comunità un diffuso benessere. Irritando l’allora presidente Vierin, lo definii dieci anni fa “socialismo reale che funziona”.
Una Regione autonoma a contributo speciale, dove difettano però gli stimoli ad eccellere. L’eccellenza e il merito sono quasi sospetti, raramente premiati.
L’agonismo fa male, quello sociale ed economico, poi… è anatema.
In una terra che fa del turismo la sua bandiera, con oltre cinquantamila posti letto di vario genere sul territorio, solo cinque giovani - notizia di due settimane fa - sono disponibili a frequentare un corso di laurea in turismo.
E’ questa la nostra tensione all’eccellenza…?
Una fastidiosa opacità impedisce di distinguere fra tasse e imposte. Impera la progressività strisciante di tasse occulte. Misteriosi indici di reddito, padri e figli di enigmistici moduli, scandiscono e propagano i loro effetti su tutti i settori della vita dei valdostani, dalla sanità alla scuola ai trasporti, dall’asilo nido al mutuo prima casa.
Manca qualcosa, poco o tanto, all’appello finale, per la remunerazione dei servizi?
No problem, lo mette mamma Regione.
Le compte est bon."
(1 - segue)

Siete d'accordo, o "gli è tutto da rifare"? Perché?

30 maggio 2007

destra o sinistra...?


Gli italiani sono come i pipistrelli:
topi con i topi, uccelli con gli uccelli.

(Sidney Sonnino, Presidente del Consiglio dal 1906 al 1909)

29 maggio 2007

né di destra, né di sinistra...




"Non sono né di destra né di sinistra, ma non vorrei mai, signor Commissario, che lei pensasse che sono di centro".


(Alberto Sordi, "Un italiano qualunque")

21 maggio 2007

A destra o a sinistra di che cosa?

Limitandoci all’era moderna, per non partire da Mosé, la sinistra nasce nella seconda metà del ‘700. Gli illuministi e la loro Encyclopédie innescano lo scontro tra le tiers état, la borghesia, e i nobili e i preti, che si conclude con la rivoluzione francese. La sinistra viene al mondo con l’obiettivo di tagliare la testa al re. Dice una sua antica canzone: Con le budella dell’ultimo prete impiccheremo l‘ultimo re…
All’inizio quindi i borghesi sono di sinistra e, di conseguenza, preti e nobili sono di destra.
Fatto fuori Napoleone, una delle prime dimostrazioni che si parte da sinistra per andare al potere, ma quando ci si arriva, si diventa inevitabilmente di destra, dopo il Congresso di Vienna e la restaurazione, la sinistra borghese conquista la sua fetta di potere politico ed economico un po’ dappertutto (da noi si chiama Risorgimento) inventando gli stati nazionali. Nel frattempo però, un’altra figlia del secolo dei lumi, la rivoluzione industriale, aveva creato masse di lavoratori sradicati dalla loro terra. Marx & Engels li definirono proletariato, ponendosi con loro a sinistra della borghesia, che si trovò così a sua volta spiazzata a destra (d’altra parte era andata al potere, e la storia si ripeteva). In realtà, tornando un attimo indietro, nel ‘700 con l’illuminismo la filosofia aveva imparato a parlare tedesco. Kant aveva enunciato la soluzione della bimillenaria contesa tra idealismo ed empirismo (o, se preferite, materialismo), brevettando l’idealismo della ragione e del giudizio. I suoi successori a questo idealismo appiccicarono prima l'estetica e poi l’etica, finché con Hegel non si arrivò ad un bivio: a sinistra Schopenhauer, Feuerbach fino a Marx; a destra, là in fondo, Nietzche. La borghesia scelse allora di chiamarsi liberale, collocandosi tra la nuova sinistra marxista e la destra di prima, in attesa della nuova. Ai bordi si muovevano lo sviluppo non casuale dell'archeologia egizia, i salotti esoterici di Madame Blavatski, il nuovo verbo di Sigmund Freud e gli anarchici di Michail Bakunin. Gli attentati a cavallo del novecento e lo scoppio della grande guerra ci portano dritti filati a quello che Eric Hobsbawm definisce Il secolo breve, secolo di soli 72 anni, dal 1917 (rivoluzione d’ottobre) al 1989 (giù il muro), nascita, sviluppo, degradazione e crollo dell’Unione Sovietica, che spargeva sinistra fuori dai suoi confini, mantenendo l’ordine al proprio interno in un modo che più a destra non si può. Destino comune delle dittature vuole che il loro successo nasca sempre dall'incontro del socialismo con il potere, della sinistra con la destra. Mussolini nasce come direttore dell’Avanti, Hitler non a caso chiama il suo partito nazionalsozialism, i reduci di Salò, dopo la seconda guerra mondiale, chiameranno Sociale il loro nuovo movimento. Nel frattempo da noi, con Don Sturzo e Dossetti, i preti, l’obiettivo che fin dall’inizio la sinistra voleva abbattere, avevano fondato la sinistra della chiesa. Dopo la Costituente i pattisti, come i democristiani, si fanno scippare la resistenza dai comunisti, ma sono meno abili, rimangono pinzati in mezzo e si ritrovano alla fine antifascisti, sì, ma di destra, fino a diventare liberali o repubblicani, quando ormai però si può essere antifascisti solo se si è di sinistra. Nel passaggio si spengono i monarchici. Saragat trova poi i comunisti troppo di sinistra, Tambroni inventa i democristiani troppo di destra, il pendolo con Moro torna a sinistra, il grande inciucio della legge 300 porta nel 1960 i sindacati al potere, senza gli obblighi e le responsabilità connesse, il piombo fa sdoganare a Berlinguer i comunisti, con Craxi i socialisti si rispostano a destra, con tangentopoli si scopre che rubare è reato, con Berlusconi si sdogana Alleanza Nazionale. Oggi la sinistra pretende di rappresentare il popolo, ma il popolo vota per il centro-destra. Rimane da stabilire se Bersani sia meno o più liberale di Tremonti. Di Fini, sicuro. Per dire che la distinzione non è neppure più più stato contrapposto a più mercato...
Liberal si definisce la sinistra negli USA, i liberal però stanno in Gran Bretagna a sinistra dei tories, ma a destra del labour party. Sul quale pende un dubbio: Blair è di sinistra?
Siamo così arrivati ai nostri giorni e tornati alla domanda iniziale: che cosa sono oggi la destra e la sinistra? A destra o a sinistra di che cosa?
Permane il grande inganno: se l’etica è un valore che si è perso (purtroppo), gira gira lo stato etico (brutta roba) è la tentazione sia della destra che della sinistra.
Preferirei definire le cose in termini di riconoscimento dei diritti del cittadino. In questo senso la sinistra patisce una deriva verso l’egualitarismo, padre dei diritti senza doveri, del diciotto politico, della deresponsabilizzazione, dei contributi a pioggia, dei finti incentivi a tutti a fronte di finti obiettivi.
L’égalité des résultats, insomma. L’appiattimento.
A questo egualitarismo preferisco l’uguaglianza, l’égalité des chances, che considero uno dei principali valori da perseguire in una società che vuole progredire, che tende all’eccellenza, dove i cittadini coniughino diritti e doveri, sappiano prendersi delle responsabilità, siano premiati in base al loro valore e ai risultati.
La buona vecchia parabola dei talenti.

P.S. E in tutto questo casino, in mezzo, che cosa c’è, in mezzo? Il centro?
Qualcuno sa dirmi che cosa sia il centro?