S'impose prepotentemente all'attenzione di tutti agli europei di
Helsinki 1971, finalista a soli 19 anni. Capimmo subito che possedeva
più di un semplice fisico forte e veloce.
Poi lunghi anni di romitaggio a Formia e la simbiosi con Carlo Vittori,
suo mentore e aguzzino. Un rapporto di amore-odio che ogni giorno si
sublimava nel duro, feroce allenamento. Nessuno prima di lui aveva faticato tanto e
nessuno fu in grado di farlo poi.
Spigoloso, caparbio, determinato,
raggiunse tutti gli obiettivi che si era posto, dal primato mondiale
(battendo quello incredibile di Tommie Smith a Mexico) all'oro olimpico
di Mosca.
Petruzzo costituiva con Sara Simeoni il simbolo vivente del miracolo
dell'atletica italiana degli anni settanta, il sigillo del successo
prorompente di Primo Nebiolo, del primato scientifico e metodologico
dell'Atletica sugli altri sport in Italia. La sua traiettoria lo portò attraverso il decennio successivo fino a Seul 1988.
La dimostrazione vivente, e lo ripeteva spesso, che solo il lavoro, il duro lavoro, paga.
La classe prescinde dal merito, è un dono degli dei che ti segna alla
nascita, ma senza il piacere della sofferenza dell'allenamento non si
va da nessuna parte.
Lo ricordo così: splendido, scontroso, irriducibile e irripetibile stakanopista.
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