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6 settembre 2008

beijing

le tre passate, reduce da cinque ore di cerimonia di apertura delle Paralimpiadi, seguita da una maratona per mangiare qualsiasi cosa, che le cucine però non producevano. Ho dovuto poi fare un percorso di furbate ad ostacoli, che vi dirò, per riuscire a collegarmi ad appropò in modo diciamo "non lineare", poiché i blog qui sono oscurati dalla censura.
Il tutto dopo undici ore di viaggio da Roma a Pechino.
Sono cotto, a cuccia. Domani.

20 commenti:

  1. Perchè non mi mandi un articolo sulle paraolimpiadi per il Corriere della Valle?

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  2. Accidenti, è andato fino a Pechino per seguire, dal vivo, le Olimpìadi dei disabili? C'è, comunque, qualcosa che non torna: lei aveva detto che, per le Olimpiadi "normali", il C.O.N.I. aveva rinunciato ad inviare un proprio delegato, allo scopo di risparmiare e adesso, la ritroviamo dall'altra parte del mondo... boh!

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  3. alle olimpiadi, un mese fa, non è stato inviato alcun membro di giunta nazionale, per i motivi che ho già esposto.
    ovviamente non poteva mancare un rappresentante istituzionale del coni, e, altrettanto ovviamente, nel caso si trattava del presidente del coni, gianni petrucci.
    alle paralimpiadi il presidente ha delegato il sottoscritto alla rappresentanza istituzionale dell'ente, come fece, sempre com me, per la seconda metà delle olimpiadi invernali di salt lake city.
    c'è da assicurare la presenza del coni alle finali dei nostri atleti, da curare i rapporti con l'ambasciata, con il rappresentante del governo che è qui (il sottosegratario rocco crimi) ecc.
    il non portare tutta la giunta nazionale alle olimpiadi ha avuto senso, l'avere alle paralimpiadi un rappresentante dell'istituzione ha altrettanto senso.
    che cosa non torna?

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  4. A proposito del pensiero di La Russa sull'equiparazione tra soldati repubblichini e Resistenza io credo che la Repubblica Sociale Italiana si sia delegittimata da sola quando ha affermato il principio della rappresaglia sulla popolazione civile italiana: in quel momento ha smesso di essere italiana. E che io sul mito della Resistenza ho idee simili a quelle di Pansa.

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  5. Ok, ringrazio Eddy Ottoz per la spiegazione, esauriente, della sua presenza a Pechino.
    Per quanto riguarda la Resistenza, Pansa ha ragione nel dire che ci sono state alcune pagine oscure, come le foibe di Trieste e Gorizia e il "trianglo rosso" di Parma, Reggio e Modena.
    In ogni caso, io ho avuto modo di constatare che, nelle province di Trieste e Gorizia, i simpatizzanti dell'estrema Sinistra, sognano, ancora oggi, l'ex Jugoslavia del Maresciallo Tito! (sia pure cammuffata da improbabili nostalgie austro-ungàriche: e meno male che si definiscono "pregressisti"!)

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  6. un periodo che, anche per quanto riguarda la Valle d'Aosta, andrebbe riscritto. Purtroppo manca un Pansa de chez-nous.
    Magari sarebbe anche l'occasione di ripercorrere il subito dopo, non solo il prima e il subito prima.

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  7. Gli ultimi libri di Pansa li ho letteralmente divorati. Un uomo coraggioso e un cronista preciso. Un piemontese alla "Over the rainbow", che ha scavato nella memoria ed ha avuto il coraggio di rendere note vicende fino a pochi anni fa sconosciute. Concordo sulla necessità di fare chiarezza anche in Valle, magari Marino Pasquettaz potrebbe aiutare con il suo contributo bipartisan. Non concordo invece con le belinate odierne di La Russa. Il nazifascismo è stato sconfitto dall'immenso sacrificio delle truppe americane, inglesi, canadesi e francesi che sono sbarcate sotto casa mia. Senza la rottura del vallo atlantico oggi in Europa ci si saluterebbe con il "sieg heil!" Sarebbe il caso che il buon Ignazio si pagasse una visitina a Omaha, Sword, Utah, Gold e Juno beach. Che contasse le croci bianche dei ventenni del Wisconsin ai quali non gliene poteva fregare di meno di beccarsi una raffica di MG42 per le nostre belle facciazze. Non dimentichiamo che Salo' era quella che tirava il grilletto delle mitragliatrici contro gli alleati. Fare chiarezza va' bene, il revisionismo storico è pericoloso.
    Philippe

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  8. Premesso che volevo dire "progressisti" e non certo "pregressisti", sarebbe davvero interessante scoprire i retroscena della Resistenza, in Valle d'Aosta: per esempio, se è vero che ci fu un inciucio, tra partigiani e fascisti, in chiave antifrancese (per la somma gioia di Joseph Rivolin!) e se è vero, come si sussurra, che Emile Chanoux fu ucciso dalla futura Union Valdotaine, che aveva bisogno di crearsi, su misura, un martire "de nos ateres".

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  9. Come si sussurra... come TU Grisero sussurri... ;-)
    Sul discorso alleati e dire che i repubblichini tiravano sugli alleati... è proprio perchè i veri alleati erano i tedeschi che molti repubblichini furono tali.
    Ma adottare il principio di rappresaglia sui civili italiani fu il vero tradimento della RSI verso la Patria. Cos'è la Patria se non in primis la nostra gente? In questo fu vero patriota secondo me invece Salvo D'Acquisto, carabiniere della Repubblica Sociale Italiana ma considerato martire della Resistenza.

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  10. Sulla Resistenza in Valle d'Aosta ci sarebbe molto da dire e da ricercare. Approfondire ad esempio il ruolo dei repubblichini nell'alta Valle in funzione antifrancese; scoprire se i pasdaran dell'UV di allora avevano iniziato a prendere contatti con i francesi per quel famoso referendum che poi non si tenne ma sul quale De Gaulle era d'accordo; fare maggiore luce sulla fine di Chanoux e cercare di capire anche il suo percorso precedente (tra cui la presidenza dell'ordine dei notai di Aosta e Ivrea, ottenuta con tanto di tessera PNF); riportare alla luce una figura importantissima come quella di Luigi Chatrian e capire che ruolo ha avuto nella costituente per la Valle d'Aosta; rifare ricerche sulle foibe di chez nous, quella di Arnad e quella di Carema. Insomma materiale ce n'è moltissimo anche se secretato dall'istituto storico della resistenza, sulla cui attività so che sono esistite recentemente fortissime ingerenze da parte della presidenza della Giunta che di fatto ne controlla la composizione.
    In ogni caso l'Italia e l'Europa sono state liberate dagli americani, non certo dai partigiani che anzi hanno creato solo casino per la popolazione. Nessuno si è mai chiesto perchè fino all'8 settembre 1943 gli effettivi dell'esercito sono stati sempre ligi al dovere: non un ammutinamento, non una diserzione, non un memoriale di condanna, e quel che è strano è che neanche tra il 25 luglio e l'8 settembre, periodo in cui la dittatura si era di fatto dissolta come neve al sole. Guarda caso il fenomeno partigiano nasce in concomitanza con il dissolvimento di tutti i reparti del nord o quelli operativi insieme ai tedeschi. Insomma un fuggi fuggi generale perfettamente colto al volo dagli emissari di Togliatti che con le armi americane tentavano il colpaccio della rivoluzione in Italia. Yalta aveva però già stabilito tutto...

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  11. confuso, incompleto, altamente opinabile.

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  12. la storia, come dice anche Giampaolo Pansa, deve essere per sua stessa natura revisione, ma assolutamente mai revisionismo.

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  13. La Resistenza da sola non avrebbe mai potuto sconfiggere i nazifascisti, anche perchè rappresentavano un nemico "interno". Certamente i partigiani hanno aiutato, compiendo azioni armate e sabotaggi, gli alleati. Cosi' come gli alleati hanno aiutato i partigiani, una delle armi più diffuse tra i partigiani era infatti lo Sten inglese, doverosamente paracadutato in grossi cilindri di ferro sulle montagne. Sul fatto che una buona parte dei partigiani volessero fare la rivoluzione in Italia non c'è il minimo dubbio, lo dice anche Pansa (che non sarà il Vangelo, ma che sicuramente ha passato al pettine ogni testimonianza dell'epoca). Cosi' come non c'è dubbio che tanti valdostani auspicavano che la Vallée diventasse un dipartimento francese. Col senno del poi è facile giudicare, ma in quei momenti era del tutto normale l'avversione verso il fascismo ed il totalitarismo, che avevano privato i valdostani della loro libertà. Le crudeltà compiute da fascisti e partigiani in tempo di guerra fanno parte del macabro rituale di due fazioni belligeranti. Quel che è successo dopo il 1945 invece non ha alcuna giustificazione. La guerra era finita, eppure il sangue dei vinti continuava a scorrere a fiumi.
    PK

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  14. Condivido nella sostanza il post di PK. Nel mio delle 19.13, ho lanciato volutamente delle provocazioni, sulle quali caro Eddy, è chiaro che rimangano delle cose da approfondire. Non ospiteresti certo un saggio di 100 pagine. In ogni caso, credo che sia del tutto corretto dire che quello fu un periodo confuso dal punto di vista politico, militare (per ciò che concerne la resistenza), sociale. Il problema è che ciò non è stato mai riconosciuto dalla storiografia ufficiale, quella, per intenderci, su cui hanno studiato i nati dal 1940 in avanti. E' stato troppo repentino il cambiamento di opinione del popolo italiano tra fascismo e antifascismo, troppo influenzato dalla crisi economica generata dalla guerra, per essere ritenuto sincero ed autentico, come è stato dipinto dalla sinistra in tutti questi anni. Ricordiamoci poi che la resistenza interessò soltanto il nord italia, è una componente geografica di cui tenere assolutamente conto. In ogni caso il fascismo ormai è stato un momento della storia italiana e non va giudicato ma analizzato. Ciò che ci deve muovere oggi deve essere la curiosità di sapere il perchè di un fatto, di una scelta, di un accadimento. Al popolo italiano non gliene frega nulla della diatriba di La Russa con Napolitano, di AN con gli ebrei. Si sprecano fiumi di inchiostro su queste beghe da condominio. Hanno fatto male Alemanno e La Russa a tirare di nuovo fuori la questione. Chissenefrega, la dittatura non torna... stiamo tranquilli e riteniamoci ormai democraticamente maturi.
    Un saluto

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  15. Egregio Uahlim, non sono io a "sussurrare" ma altri: io, per quanto abbia uno stile provocatoriamente antiunuionista, non mi permetterei mai di ironizzare su di una morte tragica, poiché, questo non fa parte della mia mentalità. Ciò premesso, uno scritto come il famigerato "esprit de victoire", di Emile Chanoux, rimane un testo da cura psichiatrica intensiva.

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  16. che testimoni un'ideologia forte è certo, che sia da "cura psichiatrica intensiva" è un'opinione che, secondo molti richiederebbe una "cura psichiatrica intensiva" per chi la sostiene.

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  17. Diciamo che il testo "esprit de victoire est un peu fils de l'esprit du temps". Ad un nazionalismo se ne contrapponeva un altro. Ma francamente nel secondo dopoguerra aver assicurato lo studio del francese oltre all'italiano nella scuola dell'obbligo valdostana in un'Italia ove non si insegnavano le lingue straniere nella scuola dell'obbligo fu un grande risultato, e considerato anche il ruolo di lingua internazionale che aveva il francese allora e di più per la francofonia non si poteva fare molto, francamente. Non ci fu tanto un complotto degli italiani contro la francofonia dei valdostani come afferma Jans, ma mancava la tecnologia per poter portare il francese sui mass-media fruibili dai valdostani. Adesso le cose sono cambiate e la sfida è riuscire a salvare capra e cavoli, ossia l'insegnamento del francese e quello dell'inglese. Aiuterebbe molto se ai metodi attuali di insegnamento si affiancassero anche dei metodi studiati espressamente per le persone di madrelingua italiana perchè per rispettare le persone bisogna riconoscere la realtà di queste persone e le loro reali difficoltà, ma la disponibilità di tv-satellite in lingua straniera già fa molto. E' questo il punto centrale secondo, non banalizzare ma invece riconoscere le difficoltà che hanno gli studenti valdostani ed incoraggiarli a guardare il bicchiere mezzo pieno di quello che sanno rispetto agli altri italiani in francese e non il bicchiere mezzo vuoto di quello che non sanno rispetto ai francesi. Io credo che molti valdostani sono disgustati dal francese non per la lingua in sé ma perchè sono sempre stati costretti a dimostrare di conoscere la lingua come fossero francesi, e non come italiani che la studiano come lingua straniera. Almeno, a me per molto tempo è andata così. Ma adesso le cose anche sotto questo punto di vista sono cambiate e molto si deve a quel famoso sondaggio della fondazione Chanoux.

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  18. in generale concordo con te, uahlim, salvo quando scrivi "Non ci fu tanto un complotto degli italiani contro la francofonia dei valdostani come afferma Jans, ma mancava la tecnologia per poter portare il francese sui mass-media fruibili dai valdostani."
    Qui non concordo né con quanto dice Parfait Jans, né con la tua spiegazione alternativa.

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  19. Premesso che, parlare di "nazionalismo valdostano", è come dare il Nobel a Topo Gigio (!)mi pare, francamente, che Uahlim abbia centrato il problema: l'uso che gli unionisti hanno sempre fatto del francese, ha portato, i residenti in valle d'Aosta, a detestarlo (a dispetto dell'eleganza di tale lingua) il che dimostra che, essi, non sanno neppure fare i propri interessi! (né quelli della Francia, che li ha utilizzati fino al 2000).
    In ogni caso, un soggetto come Parfait Jans, è attendibile?!

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  20. Effettivamente il termine tecnologia forse è inadeguato, mancò una tecnologia a basso costo, pagando tutto si può fare.
    Forse se non mancò la tecnologia quindi mancarono le risorse ed in parte la volontà. Furono fatti i trafori e relativamente tardi (ed in loro assenza difficile assicurare l'accesso ai prodotti in francese dell'industria culturale) e quindi il francese appreso rimase un'arte imparata e messa da parte.
    C'era da portare la televisione italiana prima che quelle francofone, prima giustamente i telegiornali di interesse nazionale. Ma anche dopo mancò (e manca) la volontà da parte dei valdostani di importare e di investire sui prodotti culturali in francese. Forse c'era anche un problema di legislazione che non favorì l'importazione di prodotti culturali da Francia e Svizzera: la famosa zona franca avrebbe dovuto essere intesa più come la realizzazione di una zona cuscinetto che non penalizzasse l'importazione di prodotti da Francia e Svizzera che non solo come esenzione fiscale tout-court.
    Infine siamo parte integrante del bacino economico piemontese e la vera identità di ogni valdostano, il suo vero comportamento è sempre dettato dal calcolo economico inteso in senso lato come evitamento della fatica ed io questo attaccamento all'uso del francese nel concreto, non l'ho visto nella maggior parte della gente, non ho visto l'amore verso questa lingua al punto da fare qualche rinuncia, non ho visto un solo gestore di una sala cinematografica credere per una volta in questa lingua e proporre una proiezione in francese senza il contributo regionale. Solo la fallimentare esperienza di Radio Mont Blanc sulle radio. Per comprarmi una tastiera "francese" per i computer sono dovuto andare a Nizza. Si parla di regione transfrontaliera ma la Valle d'Aosta NON è transfrontaliera: lo è la Liguria, lo è il Friuli, ma non noi. I trafori costano e le città al di là sono pure un po' lontane.
    Ora le cose sono un po' diverse: c'è una biblioteca regionale che offre libri in francese, librerie che vendono anche libri in francese ma che sono penalizzate da un sistema di importazione nazionale, comunque.
    Spesso si irride agli interventi della Regione che sovvenzionano eventi culturali in francese che di loro sponte non ci sarebbero. E' vero che non ci sarebbero, ma io più che di imposizione da parte della Regione, ci vedo invece un intervento per poter dare a quei pochi valdostani che amano praticare comunque il francese che hanno studiato di poter andare a questi eventi oltre la dittatura di un mercato che da solo saprebbe imporre a tutti solo eventi in italiano. La mia lingua materna è l'italiano, non il patois né il francese, ma questa non è una buona ragione per dedurne che a me non possa interessare e non interessino i prodotti dell'industria culturale francofona: è proprio vero il contrario. Forse ecco, il vero particolarismo della mia valdostanità è quello di non sopportare la dittatura della maggioranza che vuole l'uso di una sola lingua e la lingua come identità. Per me la lingua è strumento e mi considero francofono solo in quanto mi hanno insegnato il francese e quindi ho la libertà di poterlo usare, così come l'inglese. E questa libertà riesco ad esercitarla pienamente solo ora grazie alla tecnologia a basso costo, e più in Liguria per certi versi, ed a Milano per altri, che in Valle d'Aosta.
    E forse per questa concezione strumentale che ho del francese (l'importante è che i valdostani possano usare e possono e sono liberi se sanno, non come e quando) per me il discorso francofonia in valle non è stato un disastro e lo è sempre meno perchè ora le possibilità per chi vuole ci sono e le lacune dell'insegnamento della pronuncia da parte degli insegnanti valdostani sono colmate dalla possibilità di accesso ed uso che prima non c'erano. Quindi mi pare un'assurdità buttare alle ortiche questa tradizione di buon insegnamento di base del francese (grammaticalmente il francese è meglio insegnato da noi che in Francia, a mio avviso) solo perchè non "è la nostra identità", ma piuttosto affiancarlo ad una buona tradizione di insegnamento dell'inglese tutta da costruire ma che forse l'esperienza con il francese può aiutare. Io ho notato che non l'aver studiato il francese non ha reso la mia generazione di altri italiani degli anglofoni fluenti: ecco cosa mi lascia perplesso dell'ipotesi di aut aut tra francese ed inglese: io sapevo l'inglese mediamente come gli altri italiani in più sapevo il francese bene.

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