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21 febbraio 2007

Chi non ruba per sé, ruba per due o tre?

Revival di tangentopoli ieri sera nel salotto di Porta a Porta. Tra gli altri Di Pietro, Giovanardi, Stefania Craxi, Primo Greganti, la figlia del suicida Moroni. Continuano gli sforzi di rilettura del recente passato. Chi ancora cazzuto, chi convertito ai giustificazionisti, su tutto il profumo della trita telenovela de la colpa è del sistema, i costi della politica, rubare per il partito non è peccato ecc.
Ho sempre pensato, e ne sono tuttora convinto, che rubare per il partito sia lungi dall'essere un'attenuante, anzi.
Un ladro che ruba per sé è un ladro. Compie un reato grave contro la proprietà, va beccato, perseguito e punito duramente.
Chi ruba per il partito fa però qualcosa di assai più grave: oltre a rubare mina alla base il funzionamento della democrazia, rompe il sistema delle regole, procura un illecito vantaggio al suo partito innescando una spirale perversa in forza della quale chi ha più potere può procurarsi più soldi per rafforzare ulteriormente il suo potere, e procurarsi ancora più soldi, più potere, più soldi e così via fino a costruire un regime, soffocare la democrazia e fare scempio delle regole. La forza del denaro che soffoca la forza delle idee, nutrendo la risposta violenta nella palude primordiale.
Rubare per sé è egoismo delinquenziale, rubare per il partito, è un attentato alla democrazia. L'eventuale buona fede dell'aspirante Robin Hood ci dà addirittura la misura dell'astigmatismo morale del quale soffre la nostra società.
O no?
Ancora di astigmatismo morale potremmo parlare un'altra volta chiedendoci se la corruzione pura possa esistere e non sia invece in ogni caso l'altra guancia della concussione.

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